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La televisione ha un’influenza positiva o negativa?

Gli effetti (o presunti tali) sui bambini della violenza in Tv

Karl Popper, «a philosopher who was a defender of democratic systems of government» è stato autore, tra gli altri, dei libri ‘La società aperta e i suoi nemici’(tit. or. The Open Society and Its Enemies, 1945) e ‘Miseria dello storicismo’ (tit.or The Poverty of Historicism, 1957) (New York Times, “Sir Karl Popper Is Dead at 92; Philosopher of ‘Open Society'”, 1994, p. 54), è stato un oppositore dello scetticismo e del relativismo nelle scienze. Nel suo saggio del 1994 Cattiva Maestra, televisione il filosofo commentò un articolo pubblicato nel saggio stesso dal pedagogo John Condry.
La televisione aveva un’enorme influenza – secondo J. Condry – sui bambini, soprattutto per via della grande quantità di tempo che i bambini passavano a guardarla e, affermava che «la televisione non scomparirà
nel futuro ma anche che è improbabile che cambi al punto da diventare un ambiente ragionevolmente accettabile per la socializzazione dei bambini» e continua affermando che la tv non può insegnare ai bambini quello che devono sapere durante le fasi della loro crescita.
«L’influenza della televisione dipende da due fattori: l’esposizione e i suoi contenuti. Quanto maggiore è l’esposizione dello spettatore allo spettacolo televisivo tanto maggiore è […] l’influenza esercitata dal mezzo. – continua J. Condry – In una certa misura la natura di tale influenza sarà determinata dai contenuti. Tuttavia l’esposizione basta da sola a influenzare lo spettatore indipendentemente dai contenuti»

Popper confermava, affermando però che la televisione sarebbe in grado di cambiare ma che «è assai improbabile che questo accada». Il motivo di ciò è nella quantità di materiale che viene prodotto e trasmesso ogni giorno, è difficile per chi produce mantenere una qualità alta.
Il deterioramento della televisione è causato – scriveva – dal fatto che la televisione ha dovuto mantenere la propria “audience” e quindi produrre «materia scadente e sensazionale».
Uno dei problemi fondamentali della scarsa proposta qualitativa della televisione è la presenza di troppe emittenti televisive che competono tra loro e che cercano, non avendo nessune remore morali, di avere il maggior numero di telespettatori possibili. (Popper, 1996)
«Otto anni fa, con una lezione, avevo sostenuto la tesi che stiamo educando i nostri bambini alla violenza e che se non facciamo qualcosa la situazione necessariamente li deteriorerà perché le cose muovono sempre nella direzione della minor resistenza. […]»
Il tema della violenza è centrale per Popper, «C’è ormai un discreto numero di casi in cui responsabili di atti criminali hanno ammesso di aver ricevuto ispirazione per i loro crimini dalla televisione.» (Popper, 1996, pp. 16)

A partire dall’America è stato notevole l’interesse che moltissimi studiosi di comunicazione hanno rivolto all’effetto che i media avevano sui più piccoli, e non necessariamente solo sui bambini.
Il libro Television in the Lives of our children (1968) è stato il primo rapporto di ricerca completo sull’impatto sociale e psicologico che la tv ha avuto sul pubblico infantile degli Stati Uniti. Il suo autore è stato Wilburn Schramm (1968), un insegnante della Stanford University. Nella ricerca vennero somministrate interviste e questionari a vari campioni di bambini, alcuni anche provenienti da due città del Canada, un campione dei quali non aveva usufruito della televisione. Già alla fine degli anni Sessanta – secondo questa ricerca – l’esposizione dei bambini alla televisione era massiccio: nove bambini su dieci la guardavano già dalla prima elementare e raggiunta la seconda media guardavano dalle tre alle quattro ore al giorno in media, tempo di fruizione che diminuiva lentamente durante il liceo. Questa sovraesposizione tagliava tempo ad altre attività come il cinema, la radio e la lettura e soprattutto sottraeva tempo al gioco. Secondo gli studi di Schramm l’aumento dell’aggressività nei bambini che guardavano televisione era più presente in chi frequentava le scuole medie che in quelli della scuola primaria, quest’ultimi risultavano principalmente spaventati. 20
Gli studi sugli effetti della violenza sono proseguiti nei decenni successivi, la ricerca sul tema della violenza in televisione è stata affrontata in maniera corposa e nel corso degli anni in maniera duratura nel tempo tra gli studi più importanti vale la pena ricordare:

Il Senato degli Stati Uniti promosse varie iniziative come ad esempio la Commissione nazionale sulle cause e sulla prevenzione della violenza del 1969 e la Commissione scientifica sulla televisione e sul
comportamento antisociale del 1972, istituita dal U.S. Department of Health & Human Services. Questo rapporto giunse alla conclusione che la televisione aumentava l’aggressività in alcune categorie di
telespettatori della fascia d’età più giovane.
– La pubblicazione di un rapporto del 1982 da parte del Nation Institute of Mental Health (NIMH) evidenziava un collegamento tra i comportamenti antisociali nei minori e una esposizione alla visione di scene violente in tv.
– Negli anni Novanta gli studi continuarono e tra i più importanti vale la pena ricordare quello dell’American Psychological Association (APA) del 1993. Questo studio evidenziava come nell’arco dei quarant’anni precedenti fosse stata documentata con certezza l’esposizione dei minori alla violenza nella televisione e che i bambini esposti si mostrassero propensi all’adozione di comportamenti ritenuti
aggressivi.
George Gerbner, è stato un sociologo che ha studiato per decenni la percezione che la società aveva della presenza della violenza nei programmi televisivi e teorizzò la cosiddetta “mean world syndrome”, secondo cui le persone che sono maggiormente esposte alla televisione tendono a sviluppare l’idea che il mondo sia un posto pericoloso e meschino.

La televisione non richiede, a differenza della stampa, nessun tipo di alfabetizzazione – scriveva G. – e, a differenza del cinema, è gratuita e soprattutto è sempre in esecuzione. Può sempre mostrare e raccontare,
cosa che non fa la radio e non richiede mobilità. Essa è presente direttamente nelle case delle persone.
« Television is the first centralized cultural influence to permeate both the initial and the final years of life as well as the years between »
Gran parte dei bambini guardano la tv molto prima di imparare a leggere e prima che arrivino a scuola la televisione ha già occupato più tempo nelle loro vite di quello che trascorreranno nelle aule scolastiche.

Un’immagine tratta dall’anime, molto popolare, anche in Italia, tra gli anni settanta e ottanta “L’uomo Tigre”.

Un esempio importante è la preoccupazione riguardo le conseguenze della visione di scene di violenza nella TV. L’innovazione e lo sviluppo di tecnologie ha permesso – scrive Gerbner – la produzione e la diffusione di immagini televisive che hanno irrimediabilmente inculcato nelle classi affermate idee sovversive e di corruzione che prima erano dilaganti solo tra le classi svantaggiate (poveri, minoranze etniche, donne e bambini), le classi al potere infatti lamentano spesso che la violenza rappresentata al potere sia sovversiva e abbia la capacità di esasperare la violenza di classe, in particolar modo quando vengono rappresentate le classi svantaggiate. Per Gerbner si tratta però di un falso problema perché il potere ha, casomai la facoltà di controllare la televisione e la violenza e, quindi, la televisione non è altro che una rappresentazione del dominio del potere. L’uso di questa violenza in tv non fa altro che provocare paura, e quindi di disciplinare, rendendo le persone meno reattive nei confronti delle ingiustizie.

Dunque, Gerber giunse alla conclusione che l’unica accusa che si potesse sollevare alla televisione fosse quella di stimolare forme occasionali di violenza. Vivere in un mondo ampiamente governato dalla violenza provoca conseguenze molto più profonde.
L’esposizione a scene violente viste in televisione aumenta la possibilità che si presentino comportamenti ed atteggiamenti violenti e l’esposizione è stata massiccia si pensi che, secondo uno studio dell’APA (American Academy of Pediatrics) agli inizi degli anni duemila un diciottenne americano aveva visto in media circa 200.000 atti violenti in tv e «ogni bambino giunto al termine della scuola primaria potrebbe aver visto circa 8000 omicidi».
Gli adulti che hanno riferito comportamenti aggressivi sono in proporzione stati bambini aggressivi durante la loro infanzia (Trembly, 2000)
Nell’esposizione alla visione di scene violente è importante il grado di realismo della scena rappresentata e l’esposizione a questo tipo di scene, rispetto a scene irrealistiche o fantasiose, può aumentare i livelli di aggressività dei telespettatori.
Gran parte delle persone esposte a scene di violenza mostrano una risposta emotiva negativa (si possono manifestare una serie di manifestazioni fisiologiche come l’aumento dei battiti cardiaci e la traspirazione) ma l’esposizione ripetuta a queste immagini ne attenua la risposta, riducendone le risposte negative alle visioni successive.

Karl R. Popper si chiese quale potesse essere la soluzione per riuscire  gli effetti della televisione, soprattutto in paesi democratici. «La prima obiezione» sarebbe stata che «la censura non si sposa bene con la democrazia» ma riteneva comunque necessaria l’istituzione di un’organizzazione per gli operatori coinvolti nella produzione televisiva che controllasse il loro operato, attraverso apposite leggi dello Stato (come accade per la disciplina dei medici).
Una patente, o comunque una licenza, per chiunque produca televisione – scrive Popper – che potrebbe essere ritirata a chi si comporta in senso contrario a certi principi.
«L’educazione è necessaria in ogni società civilizzata» e i suoi cittadini «non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo» e il «modo civilizzato di comportarsi […] consiste nel ridurre la violenza»

Scritto da Giulio S.

Quasi quarantenne appassionato di cinema, televisione, manga e letteratura. Based in Rome.

Comments

  1. Mi accorgo di quanto sia difficile evitare che si accendi la televisione anche per poco tempo con mia figlia, perchè sinceramente in alcuni momenti della giornata mi ritrovo da sola con lei a dover fare altri lavori importanti. Ovviamente quando capita seleziono scrupolosamente un cartone adatto alla sua età.
    Nell’articolo mi fa riflettere molto il fatto che davanti a scene di violenza i bambini all’inizio hanno reazioni “sane” cioè aumento del battito cardiaco e traspirazione, ma poi con l esposizione ripetuta a tali scene, queste reazioni si riducono, facendole sembrare la normalità.

  2. Evitare radicalmente la televisione non è possibile
    In realtà, come riportato in altri articoli, la televisione propone e ha proposto nel corso degli anni tantissimi prodotti validi per la fascia prescolare, si pensi alla tv dei ragazzi degli anni 50 (nonostante gli ovvi limiti sia pedagogici che di mezzi dell’epoca) e prodotti di animazione ben studiati. L’importante è che i bambini così piccoli non vengano esposti alla violenza, o programmi che non sono direttamente diretti a loro. La tv molte volte viene usata come baby Sitter. E non è necessariamente detto che questo debba essere il ruolo

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