Torino fu la prima città dove , a partire dal 1934, furono effettuate trasmissioni televisive. Durante il fascismo, l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), sottoposto al controllo del Ministero della Stampa e Propanda fascista, fece iniziare le prime trasmissioni sperimentali nel 1939 proprio a Torino, iniziando una programmazione sperimentale il 22 Luglio, con la creazione di un piccolo studio televisivo in via Asiago, a Roma. Alcune trasmissioni televisive furono trasmesse tra il 1939 e il 1940 fino alla cessazione delle trasmissioni, il 31 maggio 1940, per ordine del governo fascista. Probabile responsabile fu l’entrata in guerra dell’Italia.
Dopo il secondo conflitto mondiale l’EIAR divenne Rai e l’11 settembre del 1949 Corrado Montoni, che diventerà famoso negli anni come Corrado, ridiede inizio alle sperimentazioni televisive.
Il 3 gennaio 1954 fu inaugurato il primo canale, rigorosamente in bianco e nero, con trasmissioni di poche ore al giorno, che non coprivano dunque tutto l’arco della giornata.
L’amministratore delegato della Rai era Filippo Guala, molto vicino agli ambienti cattolici e di riferimento della Democrazia Cristiana (Dc). Guala attuò una censura considerevole e attuò un codice di autodisciplina che prevedeva, tra le altre cose, il divieto di « rappresentazione di scene e vicende che possano turbare la pace sociale e l’ordine pubblico».
Anche con l’entrata in scena di Franco Monteleone, considerata una «virata laica», la Democrazia cristiana non perse il controllo della Rai. In quegli anni la Rai ebbe un’enorme ricavo pubblicitario, che arrivava a coprire il 25% delle sue entrate.
Il Ministero della Pubblica Istruzione lavorava in supporto della Rai in trasmissioni educative come Telescuola, trasmissione lodata anche dal ministro Aldo Moro, che «rappresentava un’occasione per concludere il percorso di educazione di base, dopo aver terminato quello elementare».Telescuola presentava infatti delle lezioni giornaliere e raggiungeva anche paesi in cui non erano presenti scuole secondarie sul proprio territorio.
La trasmissione proponeva l’ambiente scolastico e serie di lezioni, non solo frontali, ma che cercavano di coinvolgere il telespettatore. Durante il primo anno di trasmissioni furono circa 40mila gli studenti di questa didattica a distanza. «Per gli ascolti televisivi l’esperienza fatta non poteva che essere elogiata e restava un’iniziativa pionieristica senz’altro riuscita.»
Era una fase “sostitutiva”, la tv si sostituiva alla scuola e cercava di istruire e formare persone che poi sarebbero state in grado di svolgere l’esame finale della scuola tradizionale.
L’approccio scolastico della televisione a cui si ispirava la Rai proveniva dagli Stati Uniti, dove già da circa un decennio si lavorava in tal senso e si erano prodotte numerose ricerche in questo settore.
L’approccio della didattica in televisione e dell’uso della televisione nella didattica scolastica può trovare tre modalità principali.
- Televised-Education Approach nel quale l’insegnante svolge una lezione in classe che viene trasmessa attraverso la televisione, in posti dove si verifica un’assenza di scuole o istituzioni dedite all’istruzione. L’insegnante viene filmato insieme ad un gruppo-classe. Gli alunni rappresentano idealmente i telespettatori.
- Broadcast-Production Approach in cui l’insegnante svolge una serie di lezione in Tv. In questo metodo l’insegnante si delinea come un presentatore televisivo e la sua lezione come un programma televisivo. L’insegnante si rivolge infatti direttamente al telespettatore, richiamando l’attenzione del pubblico a casa.
- Video-instrumented Teaching approach è l’approccio sicuramente più importante. Nei primi due la televisione cerca di sostituirsi alla scuola, in questo terzo approccio invece si usa il mezzo tecnologico a supporto della didattica. La tv viene usata come laboratorio didattico e ogni insegnante può dirigere la sua proposta, usando la televisione, in modo più personale e rispettando le esigenze degli alunni e del gruppo classe.
Se Telescuola era orientato al Televised-Education Approach il programma di Albero Manzi Non è mai troppo tardi poteva essere racchiuso nel secondo approccio descritto, attraverso il carisma di A. Manzi che si rivolgeva direttamente al pubblico televisivo. La prima puntata di Non è mai troppo tardi andò in onda il 15 novembre 1960. Il target era quello degli adulti analfabeti e Manzi strutturava le sue lezioni televisive con l’obiettivo di permettere ai telespettatori «il raggiungimento della licenza elementare». Nel 1960 l’analfabetismo era molto diffuso in Italia. Il 10% delle femmine e il 6,60% dei maschi erano analfabeti. Uno dei motivi per cui il Ministero dell’Istruzione, attraverso la figura di Nazareno Padellaro, direttore generale del Servizio per l’istruzione popolare, volle fortemente questa trasmissione fu che sarebbe stato difficile riportare a scuola adulti che non sapevano né leggere né scrivere.

Le capacità indubbie di Manzi portarono al successo che il programma ebbe nel corso della sua storia. Manzi era un maestro elementare, che lavorò per quasi tutta la vita alla scuola Fratelli Bandiera di Roma. Pubblicò anche numerosi programmi per ragazzi, il più famoso fu Orzowei, dal quale fu anche tratta una serie televisiva trasmessa dalla Rai.
Durante il provino grazie al quale fu scelto per la conduzione del programma Manzi diede prova della sua “disobbedienza”. Era una personalità forte e con caratteri molto all’avanguardia per l’epoca, era ad esempio contrario a dare i voti a scuola. Dopo il primo anno Manzi fu sostituito da un altro insegnante ma, quando la trasmissione non riscontrò lo stesso successo, Manzi tornò ad insegnare agli italiani attraverso la tv.
Uno dei maggiori meriti riconosciuto alla televisione italiana è stato quello di aver diffuso la lingua italiana nel Paese. Tullio De Mauro fu il primo ad aver individuato nella TV la responsabilità di questa unificazione linguistica, giudicandola uno strumento fondamentale di questa unificazione. «La tv ebbe un ruolo strategico per trasportare la lingua [italiana] in ogni angolo della penisola.». Un programma particolarmente rappresentativo per la tv degli esordi è Carosello che «dal 1957 […] contribuì a fare gli italiani, perché per venti anni quella sorta di spettacolo-pubblicitario (trasmesso fino al 1977) rappresentò la scelta di compromesso tra apertura al consumismo di massa e missione educativa di Stato, tutta giocata attraverso la tv e tutta tesa a sottolineare che comunque un’etica politica vegliava sul palinsesto, perché non scadesse nel solo obiettivo commerciale».Le pubblicità di Carosello erano precedute da piccoli filmati introduttivi, spettacoli che, con il pretesto di narrare una storia, in realtà non facevano altro che sponsorizzare il prodotto.
Un approccio meno didascalico fu dato a La Tv dei ragazzi, una fascia oraria, dalle 16.30 alle 18.30, durante la quale venivano proposte tutte una serie di trasmissioni per l’infanzia che avevano una spiccata indole educativa.
“Costruire è facile” è un programma che l’artista realizzò nel 1956. Appuntamenti di 15 minuti in cui Munari si relazionava con due ragazzi e nel quale metteva in scena laboratori in cui costruiva oggetti e giochi, con l’uso di materiali come carta o legno. Quella di Munari era una vera e propria “grammatica della fantasia visiva”, l’artista mise in gioco, attraverso le forme e i materiali, il suo modo di fantasticare il mondo. Bruno Munari è stato un artista che, dopo aver inizialmente abbracciato il futurismo, si è dedicato al design. Questo programma è stato davvero all’avanguardia per molti aspetti tra cui la capacità di donare un aspetto laboratoriale all’educazione, cosa che dalla scuola era in quegli anni molto lontana. Una televisione che abbandonasse la passività insita nel mezzo.
La televisione degli anni Cinquanta era una Tv di stampo pedagogico che però aveva necessità di lanciarsi verso la modernità. Era una televisione che, pur con un importante aspetto culturale, era profondamente vincolata da regole ferree e censure e strettamente legata alla politica. L’avvento del mercato dei consumi spingeva la tv a modernizzarsi e rendersi più competitiva.Nel 1967 si passò da una fase “sostitutiva” della tv scolastica ad una fase “integrativa”durante la quale l’intento della televisione per ragazzi non era esplicitamente didattico, non si sostituiva alla scuola tradizionale, ma si trattava di trasmissioni che andavano in onda il pomeriggio o nel preserale, che i docenti avevano modo di visionare e poi presentare in classe durante le lezioni.
In due lezioni da 25 minuti ciascuna veniva affrontato un diverso argomento e ogni scuola aveva la possibilità di richiedere una lista degli argomenti trattati. Gli argomenti erano i più disparati e avevano un approccio moderno, c’erano corsi sulle lingue straniere, sulla fotografia ma anche argomenti più tradizionali.
Il modello integrato ebbe uno scarso successo. Le scuole non avevano risorse tecnologiche tali da poter permettere la visione di queste trasmissioni, quasi nessuna scuola aveva un televisore e raramente le trasmissioni venivano trasmesse durante l’orario delle lezioni scolastiche.
La televisione, in quanto servizio pubblico, aveva come intento quello di collaborare attivamente con la scuola, ma la scuola riscontrava scarse possibilità di interazione con la tv, come detto non erano quasi mai presenti televisori negli ambienti scolastici e il personale docente non sempre aveva una preparazione adeguata a proposito delle tecnologie. Era una scuola dall’approccio tradizionale e la formazione sulle tecnologie da parte del personale docente non era obbligatoria.
La televisione, dal canto suo, passava negli anni Settanta attraverso una «mutazione individualista», perdeva infatti l’aspetto di condivisione sociale che l’aveva caratterizzata, grazie al quale veniva vista nei circoli e nei cinema, e si chiudeva all’interno dell’ambiente domestico, all’interno delle quattro mura, un cambiamento dovuto a nuove esigenze socio-economico caratterizzato dalla spinta della privatizzazione della televisione.
La Tv dei Ragazzi propose un approccio non didattico ma comunque educativo. La Rai si proponeva, sin dai suoi esordi, il compito di proteggere i bambini dalla televisione, sono loro infatti che ne subiscono la maggiore influenza.
«La Rai delle origini crea due spazi protetti, quello dei ragazzi e quello della pubblicità, vale a dire La Tv dei Ragazzi e Carosello. Il primo spazio è mosso da interessi pedagogizzanti, nel timore che una tv non controllata nuoccia agli interessi dei bambini, il secondo dalla paura che la pubblicità possa suggestionare negativamente gli spettatori spingendoli verso il consumismo, considerato allora una malattia sociale. »Così si esprime Aldo Grasso nel documentario prodotto dalla Rai Storie della Tv, dedicato alla televisione per ragazzi.
Cino Tortorella, nei panni del Mago Zurlì e Vincenza Pastorelli, che nel 1969 cantò la famosa ‘Volevo un gatto nero’ a Lo Zecchino d’oro.
Questa visione spinse la Rai a dedicare una fascia della propria programmazione alla tv per i ragazzi, tenendo conto degli aspetti pedagogici di allora. La programmazione era divisa per fasce di età, dalle 16.30 alle 17.30 si rivolgeva ai bambini dai 4 agli 8 anni, dalle 17.30 alle 18.30 ai ragazzi più grandi, con programmi specifici per le ragazze e per i ragazzi.
Programmi come quelli di Bruno Munari e “Il circolo dei castori” (1958 – 1960) proponevano contenuti in cui i ragazzi si mettevano in opera, partecipavano a quiz, giochi, attività artistiche, inviavano lettere.
“Zurlì, il mago del giovedì” (1957-1959) era un programma di magia, trasmesso da Milano, e condotto da Cino Tortorella, genovese con la grande passione per il teatro. Umberto Eco, allora funzionario nell’azienda televisiva pubblica, notò Tortorella e propose alla Rai di produrre la trasmissione, che ebbe un grande successo tanto che il personaggio di Zurlì venne riproposto anche all’interno de “Lo zecchino d’oro”.
Il mago Zurlì interpretato da Cino Tortorella, divenne il presentatore de Lo zecchino d’oro, uno dei programmi per bambini più famosi della televisione italiana. In onda dal 1959, è trasmesso tutt’ora, e doveva essere presentato dall’autore Tony Martuccio, che però non era disponibile. Tortorella ne prese il timone, e nel 1961 lo stesso Cino incontrò i frati minori dell’Antoniano, che accettarono l’invito a partecipare alla gara canora anche con Mariele Ventre, che dal 1963 coordinò il Piccolo Coro dell’Antoniano.
La popolarità fu eccezionale, soprattutto quando la trasmissione cominciò ad essere diffusa in Eurovisione a partire dal 1969. Le canzoni che nel corso degli anni sono diventate popolari sono tantissime, Quarantaquattro gatti, Il valzer del moscerino, Volevo un gatto nero, Torero Camomillo, Il coccodrillo come fa e Le tagliatelle di Nonna Pina.
– Il pupazzo Topo Gigio fotografato con la sua creatrice Maria Perego.
Insieme a Mago Zurlì a presentare Lo Zecchino d’Oro c’era anche il pupazzo Topo Gigio, doppiato da Peppino Mazzullo. Il personaggio fu creato da Maria Perego nel 1959 per la trasmissione “Alta Fedeltà” e manovrato da ella stessa. Gli alti ascolti durante le sue apparizioni sono testimoniati dall’importanza delle trasmissioni in cui il pupazzo era presente, come Canzonissima nel 1974 con Raffaella Carrà.. Importante fu anche il merchandising prodotto nel corso dei decenni, tanto da interessare il colosso giapponese dell’animazione Nippon Animation che nel 1988 finanziò la co-produzione italo-giapponese Bentornato Topo Gigio (1992), che fu trasmessa anche in Italia, a partire dal 28 settembre 1992 su Canale 5.
Con “Chissà chi lo sa”, nato da un’idea di Cino Tortorella, e con la sua regia, andò in onda con successo il genere dei game show per ragazzi. Il programma, in onda al 1961 al 1972 era presentato da Fabio Conti e andava in onda ogni sabato pomeriggio dalle ore 17.45, prevedeva la partecipazione di due squadre da 7 ragazzi ciascuna di ragazzi delle scuole medie che si sfidavano in indovinelli e sfide di cultura. Ebbe un grande successo ed ospiti illustri come Dalida e Fabrizio De Andrè.
«I programmi per ragazzi in generale venivano fatti dalla sede di Milano, poi ci arrivavano da Roma delle censure da morir dal ridere. Per esempio non potevamo usare la parola membro. Una volta ho presentato un personaggio che era membro del Consiglio d’Europa. La notte stessa sono stata chiamata da un funzionario che mi ha fatto una grande lavata di testa, bisognava dire ‘facente parte del Consiglio d’Europa’. Non potevamo usare parole come Magnifica, Specifica e via dicendo perché se qualcuno accendeva la televisione a metà della parola ne sentiva solo la fine e questo non andava bene». A raccontarlo è Bianca Pitzorno, una delle autrici del programma.
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