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Storia queer delle maghette [Parte 1 di 2]

Quando Osamu Tezuka, considerato a ragione uno dei più grandi mangaka della storia e autore di personaggi come Kimba, il leone bianco e Astroboy, pubblicò il manga La principessa Zaffiro (1953) diede un enorme contributo a uno dei generi più rappresentativi dei manga, lo shojo, manga esplicitamente rivolti ad un pubblico femminile. La principessa Zaffiro deve fingere di essere un maschio per poter ereditare il trono, perché non è concesso alle femmine. Il genere della protagonista fa nascere tutta una serie di equivoci che permettono al narratore di giocare con l’ambiguità di genere, tematica particolarmente innovativa per il pubblico mainstream dell’epoca. Le tematiche lo rendevano un prodotto appetibile per il giovane pubblico femminile del Giappone degli anni cinquanta, che si trovava a vivere la spinta economica e i grandi cambiamenti sociali del dopoguerra e la Mushi Production decise di trasporre il manga in anime nel 1967, scelta che si rivelò un successo. Questo anime può essere considerato un antesignano delle majokko, pur non presentando tutti i topoi e gli stilemi narrativi che lo avrebbero rappresentato nel corso dei decenni successivi.

Tra gli anni sessanta e settanta un genere televisivo, quelle delle sitcom, stava vivendo il massimo del proprio splendore. La narrazione lineare e ripetitiva delle trame, le scene girati quasi esclusivamente in interni, sempre gli stessi set permettevano alle emittenti televisive di produrre in maniera economica serie tv esportabili in tutto il mondo e appetibili per le famiglie americane, a cui le reti puntavano a caccia di sponsor. Nel 1964 la ABC mandò in onda, il giovedì sera, Bewitched, in Italia Vita da strega, in cui la strega Samantha sposa il mortale Darrin, contro il volere della famiglia di lei. Il ménage familiare in salsa magica riscuote talmente tanto successo da risultare il secondo show più visto di quell’anno (superato solo dalla serie tv Bonanza). Gli espedienti magici vengono usati poco all’interno della storia e spesso la protagonista riesce a risolvere i problemi senza usare la magia.

Bewitched viene importata in mezzo mondo, tra cui in Giappone dove la casa editrice Shueisha serializzò il manga Sally la maga, dalla mano del mangaka Mitsuteru Yokoyama. La Toei animation ne realizzò un anime di 109 episodi che arrivò anche in Italia agli inizi degli anni ottanta. La giovane protagonista, Sally, è la principessa del regno magico di Astoria che si trova per caso a vivere sulla Terra, dove frequenta la scuola e deve cercare di nascondere ai suoi compagni e agli altri umani i suoi poteri magici. L’autore ha dichiarato più volte di essersi ispirato proprio alla serie Vita da strega.

Sally la maga

Sally la maga è considerata, insieme a Lo specchio magico, il capostipite del genere Maho shoujo. Himitsu no Akko-chan, disegnato da Fujio Akatsuko, fu serializzato sulla rivista di shojo Ribon dal 1962 e il 1965 ed ha avuto innumerevoli trasposizioni, tra cui quella conosciuta nel nostro Paese come Stilly e lo specchio magico. Anche per questa l’autore ammise di essersi ispirato alla sitcom statunitense della ABC.

Sia Sally che Stilly utilizzano la magia, anche se in modo diverso, attraverso l’uso di oggetti magici. Sally utilizza una bacchetta, mentre Stilly vari oggetti tra cui uno specchio magico. Gli oggetti magici sono tra i più rappresentativi del genere maho shoujo, soprattutto per via delle forme e dei colori assunti nel corso dei decenni. Alcune bacchette sono diventate iconiche, si pensi ad esempio allo scettro lunare di Sailor Moon, e gli animatori si sono spesso sbizzarriti creandone di disparati, dagli orologi ai ciondoli. In genere i poteri magici vengono donati da qualche essere magico alla protagonista, per poi scomparire alla fine della serie, rispettando a pieno lo schema di Propp.

Vladimir Propp fu un antropologo russo che analizzò le origini storiche della fiaba nelle tribù e nei riti e ne trasse una struttura che propose come modelle delle storie narrate. Nel saggio Morfologia della fiaba (1928) elencò 31 sequenze che compongono il racconto di una fiaba, e in modo particolare il ruolo dei personaggi.  Per Propp chi è il personaggio è meno influente nel racconto di quello che fa. Ovviamente gli anime maho shoujo presentano gran parte degli elementi proposti nello schema di Propp, tra cui la figura del donatore, che in genere è colui che dona al protagonista l’oggetto magico, grazie al quale può utilizzare la magia. Gli anime maho shoujo hanno saputo caratterizzare fortemente questi personaggi tanto da fare entrare alcuni di loro nell’immaginario collettivo. In genere sono degli animali, spesso di origine fantastica o provenienti da un altro regno, quasi sempre parlanti e kawaii. In Creamy sono due gattini, Posi e Nega, in Sailor Moon è una gatta, Luna, in Sandy dai mille colori sono due folletti del regno dei fiori, Pico e Paco, in Magica Emi è un folletto fuoriuscito da uno specchio, Moko, che le dona un braccialetto magico.

La protagonista è quasi sempre una bambina o una ragazzina, fino alle majokko (termine nipponico che sta per maghette) degli anni ottanta che utilizzarono un’idea fortunata, far trasformare una bambina in una donna adulta, Yu Morisawa diventava l’incantevole Creamy, Mai diventava Magica Emi, Evelyn diventava Principessa fata in Evelyn e la magia di un sogno d’amore. La trovata caratterizzò tre delle quattro maghette dello Studio Pierrot, lo studio di animazione celeberrimo in quel decennio e nel decennio successivo e che realizzò i quattro anime appena citati.

Un particolare della trama molto ricorrente prevede l’impossibilità della protagonista di esplicitare i propri poteri agli altri personaggi della serie, e in generale alla maggioranza. In molti casi solo pochi personaggi sono a conoscenza dei poteri di chi regge la storia in prima persona. E’ molto probabile che ciò abbia avvicinato i bambini queer alla visione di questi anime, nel fandom delle majokko è infatti molto viva la presenza di appassionati lgbt+

Creamy e Magica Emi avevano una qualità delle animazioni e uno sviluppo della trama decisamente sopra la media e entrambe ebbero un successo enorme sia in patria che in Occidente, creando numerosi emuli e contribuendo alla golden age dell’animazione giapponese di fine secolo.

Le serie maho shoujo degli anni Settanta erano principalmente realizzate dalla Toei animation, che oltre a Lo specchio magico e Sally la maga realizzò La maga Chappy (1972), Hela Supergirl (1971), Lilli, un guaio tira l’altro (1978) e soprattutto Lulù, l’angelo tra i fiori (1979).

La serie arrivò su numerosi emittenti locali italiane nel 1981. La sua protagonista Lulù, ragazza discendente sia degli angeli che degli umani, gira l’Europa in cerca del leggendario fiore dai sette colori. Alcune trovate accompagnano le 50 puntate: la spiegazione di un fiore in ogni episodio, una spilla magica che la protagonista punta su un fiore diverso e grazie alla quale può cambiare abito. Molto popolare tra le bambine degli anni Ottanta verrà però surclassato, per qualità e disegni, da Creamy, Magica Emi e le altre maghette dello Studio Pierrot.

Una serie molto particolare degli anni Settanta è sicuramente Bia – La sfida della magia (1974), prodotta sempre dalla Toei. Sulla Terra, e all’insaputa degli esseri umani, è in atto una gara per eleggere la futura Regina delle Streghe. Bia e Noa, due streghe, sono le principali contendenti del titolo. Bia – La sfida della magia presenta numerose novità rispetto ai maho shoujo che l’hanno preceduta. Per la prima volta la serie non è esplicitamente rivolta solo a un pubblico femminile, Bia è un maschiaccio e la sua antagonista ha dei lati oscuri molto interessanti. Ha inoltre anticipato il cosiddetto fanservice, ossia l’attenzione che gli animatori prestano ad aspetti insignificanti della trama e dei disegni per soddisfare il pubblico di appassionati. Nell’anime è presente una componente vouyeristica, spesso Bia è rappresentata in intimo, in vestaglia da notte e sono presenti una serie di personaggi come Ciosa, che spesso rivolge attenzioni particolare (e quasi sempre non gradite) alla ragazza.

Una scena di “Bia – La sfida della magia”

Shin’Ei Toga produsse Martina e il campanello misterioso (Esper Mami), del due Fujiko Fujio (autori di Doramon e Carletto, il principe dei mostri), e la Ashi Production si mise al lavoro con Minky Momo (Benvenuta Gigì) sintomo del fatto che il genere trovò interesse anche in altri studi di animazione. La Toei continuava però ad essere interessata al franchise tanto che produsse il famoso Lalabel, che vedeva al chara design il grandissimo Shingo Araki, lo stesso di Lady Oscar.

Nel 1979 Yuji Nunokawa e Hisayuki Toriumi, due dipendenti della Tatsunoko Production (Hurrican Polymar, Il fantastico mondo di Paul, Time Bokan) e della Mushi Production (Rocky Joe, Jane e Micci) fondarono lo Studio Pierrot, che grazie all’anime di Lamù e l’incredibile successo che ottenne riuscì a realizzare L’incantevole Creamy, che sarà l’anime più importante della sua lunga carriera. Il successo fu travolgente e le altre tre serie Magica Emi, Evelyn e la magia di un sogno d’amore e Sandy dai mille colori andarono a formare quello che viene chiamato dagli appassionati Majokko Club. Nel 2001 ritentò la strada delle majokko con Fancy Lala, che grazie ai poteri magici donati da dai due folletti magici, Pig e Mog, può materializzare gli schizzi dei propri abiti e trasformarsi nella sua controparte adulta, Lala. La serie non ebbe particolare successo, forse perché questo tipo di narrazione era considerata poco appetibile per le bambine del nuovo millennio.

Continua leggendo la seconda parte della storia queer delle maghette

Continua nella seconda parte
Per leggere la seconda parte della storia queer delle ragazze magiche dell’animazione giapponese.

Scritto da Giulio S.

Quasi quarantenne appassionato di cinema, televisione, manga e letteratura. Based in Rome.

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