Fino agli anni Settanta l’omosessualità al cinema era un tabù ma il Codice Hays non ha impedito a film iconici come Beh-Hur, Quelle due e La gatta sul tetto che scotta di aggirare la censura, tra detto e non detto.
L’unico modo per rappresentare personaggi e rapporti omosessuali nel cinema degli USA tra gli anni Cinquanta e Sessanta era farlo intendere, in maniera sottile. Esplicitare personaggi omosessuali non era consentito e, quindi, i registi e gli sceneggiatori erano costretti a ricorrere ad alcuni stratagemmi che facessero intendere che qualcosa di strano ci fosse.
Prima dei moti di Stonewall del 28 giugno 1969, che simbolicamente vengono considerati come la nascita del movimento moderno per i diritti LGBT+, gli Stati Uniti vivevano un periodo di grande repressione verso la comunità omosessuale, che, a dire il vero, è continuata per parecchie decadi. Negli anni Sessanta la polizia usava fare irruzione nei pub frequentati da persone omosessuali e trans e arrestare e schedare più gente possibile, con l’accusa di indecenza. Molto spesso veniva usata la tecnica dell’adescamento, detta entrapment, in cui un poliziotto in borghese (sempre in compagnia di un complice) di fingeva interessato alle avances del malcapitato, arrestandolo.

Gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta erano ancora più bui per la comunità LGBT+ e la politica si fece portavoce di una grossa repressione sessuale e, come si sa, il cinema non è altro che specchio, distorto ed eccessivo, dei tempi.
Il Motion Picture Production Code, conosciuto meglio come Codice Hays, impose una serie di repressive regole che portarono alla censura preventiva dei film, soprattutto mainstream, tra il 1934 e il 1968, anno in cui venne abolito. Uno dei punti più disdicevoli del Codice è la sezione 2 riguardante il sesso, che nel Punto 4 vietava “La perversione sessuale, o qualsiasi allusione ad essa”. Anche se personaggi e situazioni omosessuali non erano vietati esplicitamente la norma rendeva la conseguenza ovvia.
I personaggi omosessuali, lesbici, bisessuali e transessuali non potevano essere rappresentati sullo schermo e quindi restava un solo modo: aggirare la censura. Con l’uso del subtext – sottotesto – alcuni registi sono riusciti comunque a raccontare in maniera velata queste caratteristiche. Ovviamente la maggior parte del pubblico dell’epoca non riusciva a percepire l’allusione.
“Il mistero del falco”, nel 1941, è un film che presenta una forte tensione omoerotica (vi consiglio l’analisi che ne fa Out). Nel romanzo il personaggio di Joel Cairo, il cattivo del film, è apertamente omosessuale e, quindi, il regista John Huston, nel portalo sullo schermo, ha solo lasciato intendere la cosa usando alcuni ammiccamenti ed espedienti narrativi, tra tutti il bastone che Joel porta continuamente alla bocca, in una sorta di richiamo fallico.
I primi personaggi non eterosessuali ovviamente non erano positivi, in genere si trattava di vittime di violenza o, ancora peggio, adescatori di bambini, proponendo l’aberrante, quanto falso, accostamento tra omosessualità e pedofilia. Oppure erano il cattivo di turno.
Plato, uno dei personaggi cardine del cult con James Dean “Gioventù Bruciata” (1955), al quale si può facilmente attribuire una lettura omosessuale, e il Leone Codardo de “Il mago di Oz” (1939) che canta “Yeah, it’s sad, believe me, Missy, When you’re born to be a sissy,” – Sì, è triste, credimi, signorina, quando sei nata per essere una femminuccia, senza energia e verve, sono due celebri esempi di subtext.

Un altro è Ben-Hur (1959), dove il subtext gay è stato dichiarato dallo sceneggiatore Gore Vidal nel film “Lo schermo Velato” (1995), documentario che narra Hollywood e l’omosessualità. «Dovevi essere molto bravo nel proiettare il sottotesto senza dire una parola su quello che stavi facendo». Ben-Hur e Messala si ritrovano dopo lunghi anni – «Dopo tanti anni, ancora vicini» «Non avrei mai pensato che l’avresti fatto. Sono così felice» e, i due, bevono del vino incrociando le braccia. Il rapporto tra i due è allusivamente affettivo e sessuale. Il regista William Wyder e lo sceneggiatore Gore Vidal ne parlarono solo a Stephen Boyd, che interpretava Messala. Charlton Heston non avrebbe dovuto sapere niente, e a ben dir a ragione visto che, quando lo venne a sapere, andò su tutte le furie. Era uno degli attori più conservatori di Hollywood.

In “Quelle due” del 1961 Audrey Hepburn e Shirley MacLaine interpretano quella che, mai esplicitamente e solo attraverso allusioni, è una coppia lesbica. Martha e Karen sono innamorate e il film è straordinario nel narrarne le vicende sentimentali in maniera mai del tutto aperta.
Gli esempi potrebbero essere decine e vale la pena ricordare “La gatta sul tetto che scotta” di Richard Brooks. Il dramma di Tennesee Williams affrontava apertamente l’omosessualità dell’amico suicida di Brick, Skipper e dei problemi coniugali tra Maggie “la gatta” e suo marito Brick. Ovviamente il film con Paul Newman ed Elisabeth Taylor cambia le carte in tavola e qualcosa si lascia intuire, tra mille peripezie interpretative.
Il Codice Hays venne abolito nel 1968 e in seguito ai moti di Stonewall la rappresentazione queer e LGBT+ nel cinema cambiò progressivamente. Nel 1970 arrivò il rivoluzionario “Festa di compleanno per il caro amico Harold” di William Friedkin, dove per la prima volta personaggi apertamente omosessuali interagivano liberamente tra loro. La strada però sarebbe stata tutta in salita. La pandemia di AIDS fu un importante battuta di arresto e cambiò radicalmente la rappresentazione dell’omosessualità nel cinema.
Domanda: ma Charlton Heston non è gay a sua volta? Mi pareva di si (poi magari “fa finta” perché viene assoldato per girare spot di propaganda repubblicana, vai a sapere…). Comunque vogliamo parlare di “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”? Nonostante sia un film del 1991 (non del 1961), la smania di farne a tutti i costi un film per famiglie (cattoliche?) aveva trasformato la palese relazione saffica delle protagoniste in una castissima e ingenua “amicizia”, al limite dell’infantile. Personalmente avevo trovato la cosa molto fastidiosa (segue)
… perché si lasciava passare un messaggio di “negazione oscurantista”. Ok, era pur sempre il 1991 e sono passati 32 anni, ma oggi un messaggio del genere lo troverei apertamente e profondamente omofobico: quel “far finta di niente” per potersi raccontare favole ideologiche e negare l’esistenza di realtà che non piacciono e non si capiscono. Tanto varrebbe, allora, continuare nelle rappresentazioni negativiste, che presentano le persone lgbt come “perverse”, ipersessualizzate, sempre dedite ad alcol e droghe e “inevitabilmente” (?) depresse.
Il giudizio su “Pomodori verdi fritti, alla fermata del treno” è condivisibile. Personalmente ho letto il romanzo, ma non mi è sembrato poi di tanto più esplicito del film. Erano gli anni Novanta, purtroppo certe tematiche erano difficili anche per il grande schermo. Non ho parlato di questo film nell’articolo perché è fuori codice Hays. Altri esempi di subtext sono Xena e Olimpia, ad esempio.